Wool, Hugh Howey
BUR Rizzoli, collana: bestBUR, 2015, prima edizione: Fabbri, 2013, ISBN: 978-8817080651
Finalmente un incubo distopico che toglie il fiato. In tutti i sensi.
La fantascienza è piena di romanzi ambientati in scenari post-apocalittici. Ma pochi di questi libri hanno la potenza narrativa di Wool.
In un futuro del quale non sappiamo niente, se non che l’aria è diventata tossica ed è in grado di uccidere quasi istantaneamente chiunque la respiri, i pochi esseri umani superstiti sopravvivono rinchiusi in un gigantesco silo sotterraneo. Quale tipo di catastrofe li abbia condotti lì, ci è ignoto.
Tutto quello che siamo in grado di intuire è che siano costretti a vivere così da molte generazioni.
All’interno del silo la vita è organizzata secondo il settore, o meglio, il livello al quale si lavora, e il colore della divisa rende visibile a tutti questa distinzione; scandita da regole severe, la società regola la sua popolazione rendendo possibile una nascita solo a patto vi sia stata una morte. È un sistema di lotterie a consentire il controllo demografico e a stabilire a quale coppia concedere la fortuna di tentare di avere un figlio. L’ambiente ristretto e la convivenza forzata rendono indispensabile un sistema di regole che eviti ai conflitti di esacerbarsi in rivolte. Rivolte che però, con una cadenza quasi ventennale, avvengono comunque.
Il silo si divide in tre sezioni di quarantotto piani, percorribili solo a piedi, seguendo una scala a chiocciola. Dal piano più alto, dove è presente “la Vista”, garantita da telecamere e proiettata costantemente sugli schermi, memento dell’impossibilità di vivere all’esterno, si scende verso le profondità del silo.
Centoquarantaquattro piani nei quali si trovano tutti i servizi essenziali alla sopravvivenza della popolazione. Il sindaco, eletto dagli abitanti, è formalmente la persona più importante del silo, colei (in questo caso) o colui al quale demandare le decisioni. Ma è il capo dell’IT, Bernard, come scopriremo presto, ad avere un ruolo fondamentale: il suo dipartimento preserva la memoria del passato. Lo sceriffo e suoi vice garantiscono il rispetto della legge: sopra ogni altra quella che stabilisce chi verrà condannato alla Pulizia. Il Pulitore è colui che uscirà all’esterno, protetto da una tuta speciale in grado di garantirgli qualche minuto di sopravvivenza, a pulire le lenti delle telecamere che permettono la Vista.
Condanna a morte che viene destinata a tutti coloro che, per qualsiasi motivo, esprimano la volontà di uscire. Proferire queste parole rende impossibile tornare indietro.
I bambini stavano giocando mentre Holston saliva incontro alla morte. Li udiva urlare e rincorrersi qualche piano sopra di lui come fanno soltanto i bambini felici. Sentendo tutto il loro impaziente fracasso, se la prese comoda, avanzando sulla scala a chiocciola con un’andatura lenta e metodica che risuonava sui gradini metallici.
Questo è l’incipit del libro. È accompagnando lo sceriffo Holston alla morte che l’autore ci catapulta all’interno della realtà del silo. Speriamo fino all’ultimo che il suo destino non sia segnato, ma non riusciamo ad abbandonare la sensazione che nessun colpo di scena potrebbe salvarlo. La decisione di uscire, e quindi di morire, se da una parte lascia tutti spiazzati, dall’altra sembra essere maturata in seguito alla morte della moglie, che tre anni prima aveva espresso la medesima volontà.
Pulitori volontari, questo è termine che li descrive.
Holston ha passato gli ultimi tre anni ad aspettare il ritorno della moglie, credendo a tutte le sue teorie sulla menzogna che spiegherebbe il perché della loro vita nel silo. È pieno di dubbi e tormentato dai ricordi. Una volta fuori, si accascia accanto alla moglie, dopo aver pulito le lenti, su una collinetta brulla e arida, finalmente libero.
Howey riesce a creare un mondo distopico superbamente articolato,
che non ha niente da invidiare ai classici della fantascienza.
In seguito alla morte di Holston, si palesa la necessità di trovare un nuovo sceriffo, e il sindaco intraprenderà il viaggio nelle oscure profondità del reparto meccanico che ci farà conoscere Juliette. Personaggio principale di tutto il libro, ribelle e indipendente, arguta e coraggiosa, non si può non aggrapparsi a lei con tutte le nostre forze, sperando che risolva i misteri del silo.
All’inizio non vuole accettare l’incarico, ma in seguito, spinta dalle circostanze, lo farà. E si troverà subito alle prese con il primo omicidio, quello del sindaco, avvelenata mentre risaliva.
La sua scrittura è ricca, visiva, a tratti cinematografica, ma permeata di intimità e piena di pathos. Si riesce a empatizzare con i personaggi, e le descrizioni, trovate oltremodo prolisse da alcuni lettori, sono funzionali sia al ritmo del racconto che alla costruzione dell’ambientazione. Se proprio volessimo trovare un difetto, ma dobbiamo proprio volerlo, l’architettura interna del silo, per quanto spiegata in ogni dettaglio, resta di per sé difficile da immaginare nel suo insieme in maniera fisica. Gli spazi sembrano stringersi e allargarsi a seconda delle esigenze narrative, ma, tutto sommato, possiamo anche concederglielo.
Ma una trama ben congegnata, uno stile incalzante e dei bei personaggi, possono bastare da soli a spiegare tutto questo successo?
No, Howey ha qualcosa in più.
Le sue pagine sono permeate di scoraggiamento, l’assenza di speranza è sempre presente. Nel silo non si può ambire ad elevarsi, non c’è spazio per le domande, per l’esterno, per la vita.
La claustrofobia che contraddistingue la storia è creata ad arte grazie a questa plumbea, onnipresente, mancanza di speranza. È proprio per mezzo di questa finezza che Juliette ci sembra più intrepida, più ribelle, più ottimista di quello che è.
Nulla la supporta. È destinata ad essere sconfitta, a soccombere.
La sua ricerca della verità è, di per sé, un atto incredibilmente sovversivo. Ogni sua frustrazione diviene un pungolo, un anelito di speranza in un mondo morto.
È lei a raccogliere l’eredità di Allison, la moglie di Holston, colei che aveva perso la vita per le sue convinzioni, andando incontro alla morte convinta che non sarebbe morta, convinta che il suo gesto avrebbe svelato la menzogna che li avvolgeva tutti. Allison per prima vuole squarciare il velo che li separa dalla verità.
Noi la conosciamo solo grazie alle parole del marito, che si appresta, nell’incipit del libro, tre anni dopo la sua morte, a seguirne le orme.
Non è il caso di lasciarsi intimorire dalla mole del libro (ben 552 pagine), Wool è diviso in cinque parti, che non sono altro che i romanzi brevi che lo compongono, originariamente autopubblicati da Howey. Possono quindi essere letti uno per volta (se ci riuscite!), come hanno dovuto fare migliaia di lettori mentre attendevano febbrilmente che l’autore pubblicasse il successivo. Personalmente non ci sono riuscita. Ogni libro si conclude con un colpo di scena e ho divorato ogni singola pagina in preda allo spasimo di leggere la successiva.
Come mi succede sempre quando non riesco a smettere di leggere un libro, ho rallentato la lettura in prossimità delle ultime pagine, sperando di protrarla il più a lungo possibile, restando immersa nel mondo che Howey ha creato per noi.
Per fortuna davanti a me c’erano altri due romanzi, Shift e Dust, e molte risposte, ad aspettarmi.
Hugh Howey ha iniziato a scrivere Wool nel 2011, in pausa pranzo, mentre lavorava come commesso in una libreria, autopubblicandolo poi su Amazon. Dopo l’enorme successo mondiale di questo primo capitolo, ha pubblicato anche Shift e Dust, disponibili in BUR, completando la Trilogia del Silo. La Twentieth Century Fox ha acquisito i diritti di Wool per trasformarlo in un film per la regia di Ridley Scott.
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