Skellig, David Almond
Salani, 2009, ISBN: 978-8862560429
Un giorno una famiglia si trasferisce in Falconer Road. Ci sono ancora un po’ di lavori da fare nella nuova casa: il giardino è un disastro e il garage è vecchio, sarebbe da buttare giù. È appena arrivata una bambina in famiglia, ma è nata prematura e la sua vita è a rischio. La madre è in ospedale con la bambina, a cui non è ancora stato dato un nome. Il padre si divide tra l’ospedale e la nuova casa, dove spesso Michael, ometto dodicenne, resta solo. La vicina di casa di Michael, Mina, è una ragazzina sui generis, che salta sugli alberi e non va a scuola: studia a casa, con sua madre, e ama William Blake. I due, inevitabilmente, diventano amici e compagni d’avventura.
Un giorno Michael va a curiosare nel vecchio garage e ci trova dentro qualcuno che sembra abitare lì da molto tempo: il suo nome è Skellig. L’inquilino del garage è bloccato dall’artrite, parla a fatica, ride senza sorridere, apparentemente si nutre di topi e, soprattutto, ha le ali. Che sia un angelo caduto, o un mostro metà uomo e metà uccello, non lo sappiamo. Michael e Mina si prendono cura di lui, gli portano da bere birra scura, da mangiare 27 e 53 (dal menù del ristorante cinese della zona: involtini primavera e maiale in agrodolce) e aspirine per l’artrite. Skellig pian piano si rimette in sesto. Come è facile immaginare, sarà poi un suo intervento a salvare la vita alla bambina, in ospedale.
Skellig è il fortunatissimo esordio di David Almond, uscito quasi vent’anni fa, nel 1998, e pubblicato in Italia nel 2009 da Salani. L’autore, prima di scrivere Skellig, è stato insegnante di letteratura, ha vissuto in una comune e ha pubblicato, con poco successo, un paio di romanzi per adulti. Oggi è riconosciuto come uno dei più grandi scrittori per ragazzi e collabora con i più grandi artisti e illustratori.
David Almond non fa mistero di provenire da una famiglia cattolica, e infatti elementi e temi religiosi sono spesso presenti nei suoi libri. Una conseguenza della sua cultura cattolica è che l’autore abbia maturato una personale e affascinante poetica della morte: non un tabù, né una disgrazia, la morte viene spogliata della sacralità che siamo soliti attribuirle, ed è ridimensionata e raccontata nella sua semplicità, forse anche banalità. È qualcosa da toccare, qualcosa di cui ci si può incuriosire. Certo se la bambina morisse sarebbe una disgrazia, però non c’è solo la morte della bambina, rischio da scongiurare: muoiono topi, uccelli e insetti. Il gatto di Mina uccide (uccellini).
Michael e Mina sembrano attratti dagli ambienti più polverosi, che puzzano di stantio, di vecchio, di umidità, di putrefazione. Non hanno nessun problema a muoversi tra topi morti, sangue e piume appiccicate, mosche e ragnatele. Le visite a Skellig sono quasi tutte notturne, così come notturni sono gli animaletti la cui presenza fa da contorno alla storia: i topi, già citati, ma anche i gufi, la cui presenza ha degli effetti positivi sulla guarigione di Skellig.
Di Skellig c’è stata una trasposizione teatrale e un film per la tv, con Tim Roth nella parte dell’uomo-uccello. Questi prodotti saranno sicuramente di buona qualità (non li ho visti, non posso giudicare), tuttavia temo che arti prevalentemente visive come cinema e teatro non riescano ad avvicinarsi con successo alla scrittura di David Almond, che stimola invece altri sensi.
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