Lo scrittore ha presentato il suo ultimo titolo, appena uscito per Giunti, agli allievi di una prima media di Bologna. «Perché non lo hai intitolato “La Confraternita della Mutanda” o “Il coraggio di mio Padre?”» , gli hanno chiesto gli attentissimi lettori.
Papà sta sulla torre, Francesco D’Adamo
Giunti, febbraio 2017, Illustrazione di copertina: Marco Marella, ISBN: 9788809846951
Ci sono autori che dovrebbero stare sempre in mezzo ai ragazzi. Uno di questi è Francesco D’Adamo, milanese tradotto in tutto il mondo e con il radar acceso ventiquattro ore su ventiquattro a intercettare storie vere da trasporre in romanzo. D’Adamo, sotto le Due Torri in occasione della cinquantaquattresima edizione della Bologna Children’s Book Fair, ieri mattina ha incontrato nella biblioteca Salaborsa i giovani e attentissimi lettori di una prima media bolognese, la Rita Levi Montalcini, aperta da appena due anni in via Lombardia.
Col suo ultimo titolo in mano – il bellissimo Papà sta sulla Torre – l’autore ha completamente ammaliato gli adolescenti presenti che, messa da parte la fisiologica timidezza iniziale, si sono scatenati nel porre mille domande. Qualcuno ha addirittura indovinato uno dei due autori per ragazzi, il Mark Twain del meraviglioso viaggio sul Mississippi di Tom Sawyer e Huckleberry Finn, a cui quasi inconsapevolmente si è ispirato per raccontare l’odierna tragedia delle fabbriche che chiudono e degli operai costretti a salire sui lucernari per far sentir la propria voce.
Papà salì sulla Torre una primavera che pioveva e tirava vento e faceva così freddo che non sembrava neanche primavera; ci salì perché non poteva fare altrimenti, perché c’era la Crisi e le fabbriche chiudevano, lavoro non ce n’era e bisognava pur farsi sentire, no?
Fu la primavera che io e Goffy scendemmo con la zattera le acque del Fiume Nero fino al Petrolchimico abbandonato e andammo all’appuntamento con gli Alieni che – diceva Goffy – avrebbero cambiato il destino del pianeta e avrebbero portato a tutti Pace, Lavoro & Libertà.
Questo è l’incipit. Notare le maiuscole: stanno a indicare l’importanza delle cose, degli avvenimenti, delle ambientazioni, dei valori e delle necessità di ogni essere umano. La solita e sacrosanta, ma ahìnoi vituperata, importanza delle parole. Da gridare, in questo caso con la voce bassa della scrittura. E per almeno 28 giorni, quanto il padre di Nino resta fisso, come il posto che difende con le unghie, sulla ciminiera.
«Il mio è uno strano mestiere – rivela agli studenti che lo ascoltano in religioso silenzio –, ma mi diverto come un matto. E la mia passione è nata che frequentavo ancora la scuola elementare. Il merito – e lo dice indicando con gli occhi le insegnanti – è del mio maestro di Cremona, una figura fondamentale per me bambino: aveva la bella abitudine, l’ultima mezzora di scuola, proprio quando noi scalpitavamo e non ce la facevamo più a stare chini sui banchi, di prendere un libro e leggercelo ad alta voce».
Quel maestro da libro Cuore D’Adamo non l’ha più dimenticato, così come quella campanella che suonava proprio sul più bello e che gli faceva venire la matta voglia di tornare l’indomani e sentire il seguito della narrazione. Un effetto attesa e sorpresa, proprio della letteratura di genere, che l’autore fa suo anche quando scrive per ragazzi.
«A un certo punto pensavo mancassero delle pagine al suo romanzo, che ci fosse un errore» – lo interrompe un allievo della Rita Levi Montalcini. E «invece io – risponde pronto D’Adamo – volevo solo tenerti lì, scatenare la tua curiosità e farti voltare pagina».
Proprio così: l’immaginazione.
Quella che porta D’Adamo a non descrivere mai i suoi personaggi («Tu sai per caso che faccia ha Nino?» – chiede. No. «Appunto, io volevo che Nino te lo immaginassi tu»). Nino è il figlio, prima incredulo e poi fiero, di questo padre disperato che sale sulla torre, pardòn la Torre, per salvare il suo lavoro e, quindi, la sua famiglia.
In questa avventura di speranza e amicizia ci sono il migliore amico di Nino, Goffy, quello degli Alieni, e Cassandra Vu, la ragazzina che si impone nel viaggio sul fiume. «La vorreste voi una femmina sulla barca insieme a voi?», stuzzica la platea di genere maschile quasi a tirare in ballo il suo altro collega di riferimento: quello Stephen King di Stand by me. «Certo che no, peccato che Lei in un attimo si prende le redini della situazione facendo pure innamorare Nino».
L’incontro è già un successo. Gli studenti lo subissano di domande alla faccia di chi di questi giovani d’oggi sfodera solo le peggio cose e lui si sente quasi di scusarsi quando è ora di andare. Prima dell’improvvisato firma copie, aveva raccontato come si scrive un romanzo e delle traversie che portano a trasformarsi in lettori indefessi: «La prima volta che ho letto Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway – ricorda ridendo – mica mi era piaciuto; due anni dopo lo ritrovai per caso e rimasi sveglio una notte intera per terminarlo. Questo solo per dirvi di essere pazienti, di darvi tempo e di tranquillizzarvi: si può leggere di tutto e anche non finire un libro. Come non ci sono libri proibiti, non ci sono nemmeno libri obbligatori».
E ancora l’insegnamento su cui dovrebbero riflettere anche gli editori e gli addetti ai lavori: «Non è importante mettere l’etichetta del genere letterario. Esistono solo libri che ci piacciono e libri che non ci piacciono. E non basta avere una bella storia, è necessario riuscire a trovare le parole giuste per darle forma». Domande a valanga. La ragazza più pratica chiede se quando scrive lo fa in silenzio, il compagno più critico perché in Italia i cosiddetti young adult sono quasi sempre senza figure (da profano le chiama “vignette”). C’è poi quello che suggerisce la propria prof come illustratrice quando D’Adamo confessa di sognare di scrivere il testo per un fumetto, e addirittura chi propone il seguito della storia o titoli alternativi. I migliori: Il coraggio di mio padre e La Confraternita della Mutanda, dal nome del gruppo a cui appartengono i protagonisti, la voce narrante Nino e i suoi inaspettatamente (affinità elettive o sfortune di vita) ormai inseparabili amici.
Si finisce con un accordo, un impegno da onorare.
«Voi scrivete il vostro sequel – chiude D’Adamo –, io prometto che vi risponderò per email e vi dirò cosa ne penso».
Del resto, il libro si chiude con l’assist perfetto.
La Confraternita della Mutanda varcò orgogliosamente il portone di scuola, senza paura, pronta perfino a subire la verifica dei compiti delle vacanze che, naturalmente, non avevano fatto.
Ma questa è tutta un’altra storia.
Puoi acquistare Papà sta sulla Torre, qui.