Premio Andersen 2016, il romanzo di Sharon M. Draper è un manifesto contro le barriere e i pregiudizi
Melody, Sharon M. Draper, illustrazione di copertina di Ken Wong
Feltrinelli, marzo 2016, titolo originale: Out of mind, traduzione di Alessandro Peroni, dai 12 anni, ISBN: 9788807922688
La statunitense Sharon M. Draper è stato uno dei personaggi indimenticabili dell’edizione 2016 della Bologna Children’s Book Fair. Premio Andersen per il suo Melody, ha lasciato una traccia indelebile nella memoria di chi c’era al convegno “Visibile/invisibile. La rappresentazione della disabilità nei libri per ragazzi” promosso da Ibby Italia.
Con il sorriso sempre sulle labbra come a spiegare che di normalità non ce n’è una sola, Draper ha raccontato la genesi del suo libro e «la vita nella bolla di una bambina di quasi undici anni che non può né camminare né parlare». E di come, a volte, fare proprio il dolore degli altri per provare a comprenderlo sia la più grande forma di umanità che ci rimane.
«Ho scritto la sua storia – ha spiegato – perché Melody meritava di far sentire la propria voce al resto del mondo».
Un resto del mondo che di solito ignora chi rimane indietro o lo approccia con sentimenti che stanno fra la pena, la distanza e, sì, proprio così, la crudeltà. Quella crudeltà che ha l’alibi della paura, ma che crudeltà rimane.
Nel costruire il plot narrativo, Draper non ha avuto dubbi: «Nessuno si doveva permettere di provare compassione per Melody».
Obiettivo riuscito.
Ex insegnante e madre di una bambina disabile, l’autrice conosce bene gli sguardi degli altri. La piccola colpita da una paralisi celebrale protagonista di questo romanzo non è, però, sua figlia. Melody non esiste, ma è così viva che sono tanti i lettori che si riconoscono nella sua storia o che le scrivono per sapere come è la sua vita adesso.
Il grande merito di Draper è quello di aver descritto una ragazzina come tante, senza cadere nella facile retorica e nei sentimentalisti in cui cade spesso la letteratura quando si occupa della malattia.
Intelligente, arguta, piena di vita, Melody è forte, fortissima, come solo chi vive un inverno dentro sa essere.
Questo young adult, che ha venduto oltre un milione di copie ed è stato pubblicato in sedici paesi del mondo mettendo in fila una sfilza di riconoscimenti e restando nella classifica dei bestseller del New York Times per due anni, regala le parole a chi non le ha e trasforma l’immobilità di Melody in un invito a muoversi e a vestire i panni dell’altro.
Cominciamo dalla copertina.
L’illustrazione di prima pagina, firmata dall’australiano Ken Wrong, è la fotografia della condizione in cui vive Melody. Una bambina dal cervello perfettamente funzionante (è la bambina più intelligente della scuola, solo che nessuno lo sa) intrappolato nella vasca con sei pesci rossi costretti a fare su e giù come criceti nella ruota di una gabbia.
Non posso parlare. Non posso camminare. Non posso mangiare né andare in bagno da sola.
È una bella sfiga.
Diventa subito chiaro quanto anticipava Draper. Fra noi che leggiamo e Melody le distanze sono già azzerate. Forse perché, proprio come noi, Melody (e il nome scelto parla chiaro) ha in testa delle canzoni. Canzoni che scorrono dentro e lì rimangono. E sogni, perché di notte può realizzarsi qualsiasi desiderio. Fare ginnastica su una trave o arrivare per prima ad una corsa in cortile.
Gli adulti intorno a Melody fanno quel che possono. I medici, gli insegnanti. Ma non abbastanza.
L’impotenza, la rabbia e la forza dei suoi genitori diventano le nostre.
Sua madre, che non piange mai, è una combattente. Con i suoi umani errori e, soprattutto, con la sua capacità di trattare la figlia da persona e non da disabile.
Forse anche per questo, Melody affonta tutto con forza e ironia.
Sentite qua cosa dice dei medici, gli stessi a cui la madre non si stanca mai di ripetere che la figlia ha la fiamma viva dell’intelligenza e che è necessario stabilire un contatto visto che capisce tutto, legge, ascolta audiolibri, conosce lo scienziato Stephen Hawking e ride alle battute.
Nella mia vita ho conosciuto decine di medici, tutti a cercare di analizzarmi e di capirci qualcosa. Nessun dottore può rimettermi in sesto, perciò in genere li ignoro e mi comporto come la ritardata che loro credono io sia.
E poi la scuola elementare, a cui questa grande famiglia ha deciso di iscriverla comunque e a dispetto dei consigli dei luminari che indicavano una struttura residenziale assistita. «Per nessuna ragione al mondo spedirei Melody in un istituto! – è il grido della genitrice che, all’ennesima sottovalutazione, sbotta irriverente – Lei non è così intelligente, dottore. È semplicemente fortunato! Tutti noi che abbiamo il corpo ben funzionante siamo dei privilegiati. Melody è in grado di capire le cose, di comunicare e di arrangiarsi in un mondo in cui niente è fatto su misura per lei. Quella davvero intelligente è lei!». Come a ricordare che una persona è molto di più di una diagnosi scritta nero su bianco su un referto.
La forza delle donne che ci provano finché possono.
E che, a volte, anche grazie alla vicinanza di altri simili capaci di empatia, riescono.
Il ruolo della signora V., che si prende a cuore le difficoltà dei propri dirimpettai, è cruciale.
Violet Valencia è la prima ad approcciarsi a Melody come fosse una bambina qualsiasi. Dopo i primi pomeriggi trascorsi insieme, la sua missione diventa quella di donare alla sua piccola vicina di casa, che per fortuna riesce ad usare i pollici (solo quelli), la parola. Una possibilità che assume dimensioni impensate e infinite. Prima fra tutte la capacità di Melody di giocare con i vocaboli componendo frasi del tipo «Il pesce azzurro scappa. Non vuole essere la cena».
Draper, vi aveva avvisato: Melody è l’alunna più intelligente della scuola.
La scuola, ecco.
Con i suoi limiti, le sue difficoltà, la gabbia delle classi speciali, diventa lo stimolo per andare oltre, verso una soluzione.
Nella storia di Melody, infatti, dopo l’arrivo di una sorellina (la speranza), le sottovalutazioni delle insegnanti e le prese in giro dei compagni, arriva una svolta.
Il Medy-Talker: un’intelligenza artificiale, un computer, che le darà la voce e la possibilità di comunicare con gli altri. Far parte del gruppo. Non dirà mai una parola, ma le farà uscire finalmente da sé.
Scritto in prima persona, con un linguaggio diretto e con ironia, che è il miglior attributo di chi preferisce lottare piuttosto che autocommiserarsi, andrebbe forse letto in versione originale perché la traduzione lascia senz’altro per strada delle frasi idiomatiche che, in molti casi, servirebbero ad ampliare con maggiore semplicità lo sguardo.
Melody è davvero per tutti. Fa ridere, piangere, incazzare e sperare.
Una carezza ai bambini che vivono, direbbe Bruno Tognolini, in salita, un omaggio alla lotta in solitudine dei loro genitori, un applauso ai tanti assistenti che li aiutano oltre che un necessario antidoto contro il cyberbullismo tanto discusso in questi tempi distratti.
Infine la chiosa dell’autrice che, per chi scrive, basterebbe per renderlo testo da adottare nelle scuole medie inferiori e superiori: «Ho scritto Melody anche per quelli che si voltano dall’altra parte, che fingono di non vedere o che non sanno cosa dire quando incontrano una persona che affronta la vita con evidenti differenze. Eppure, basterebbe sorridere e salutarla!».
Grazie per questo libro, Sharon M. Draper.
Davvero.
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