Loney, Andrew Michael Hurley
Bompiani, 2016, trad. di V. Vega, ISBN: 978-8845281174
L’estate, si sa, è la stagione dell’horror. Per ragioni “antropologiche”, se vogliamo; in estate si sta fuori più a lungo e più volentieri, si va alla ricerca di emozioni forti. È una sorta di compulsione: chi non ha qualche ricordo di lunghe notti estive, passate a raccontarsi con gli amici le peggiori storie di fantasmi del proprio repertorio, alla ricerca di quel morboso – ma ammettiamolo, piacevole – brivido? E poi c’è la componente del marketing. Già negli anni ’50, Hollywood tentava di strappare il pubblico all’allora in ascesa televisione a suon di B-movie, girati per pochi spiccioli e proiettati nei drive-in all’aperto. Una tattica utilizzata tuttora nei cinema italiani, per contrastare lo svuotarsi delle sale durante i mesi estivi.
Come che sia, sapere di essere probabilmente preda di uno stratagemma pubblicitario lungo decenni non ha cambiato affatto la mia voglia, in questo periodo, di un bel po’ di sana tensione e notti insonni. Ho deciso così di dedicare un mini ciclo di tre recensioni all’horror, selezionando tre libri appartenenti al genere, ma molto differenti fra loro. Il primo di questo viaggio, per chi avrà la voglia e la pazienza di accompagnarmi, è un libro piuttosto peculiare.
Loney, infatti, appartiene in pieno al filone gotico, così completamente da risultare quasi anacronistico. Non sono infatti unicamente gli scenari e le atmosfere – magistralmente descritti, peraltro – come spesso capita oggi, a meritargli l’etichetta. Non bastano gli alberi scheletriti, le antiche case scricchiolanti e la brughiera battuta dal vento a fare di un libro un “gotico”. L’intera costruzione della vicenda sembra uscita da un racconto soprannaturale di Poe, o da un romanzo di Walpole.
La trama si muove su due binari temporali; il tempo presente del narratore, e il suo racconto dell’evento sinistro degli anni adolescenziali, ricco, come nella migliore tradizione, di costanti commenti che adombrano la rivelazione finale. Un ritmo lento, diluito, a un occhio moderno quasi “inconcludente”; non ci sono, in Loney, le scene parossistiche a cui siamo abituati nell’horror moderno: la tensione cresce gradualmente, come si legge sul retro di copertina dell’edizione inglese, “from a murmur to a shriek” (dal sussurro all’urlo). È una forma di orrore che si basa sul presagio – e di conseguenza, sul mai concluso – sull’equilibrio costante fra soprannaturale e ordinario ma, soprattutto, e qui sta il cuore della sua natura gotica, nell’indagine della morale umana.
Hurley non crea mostri per la sua storia. Sono più che sufficienti i suoi personaggi, tratteggiati sulla scala di grigi che è l’animo umano. Sono questi, in fondo, a mettere profondamente a disagio il lettore, ben più che le stanze nascoste in dimore vittoriane, o i lampi della notte buia e tempestosa. Certamente, questa opera d’esordio mostra ancora incertezze sull’architettura del romanzo, ma si tratta senz’altro un autore da tenere d’occhio, e non solo per gli appassionati del genere.
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