L’amica geniale (volume primo), Elena Ferrante
Edizioni e/o, prima ed. ottobre 2011 – diciassettesima ristampa marzo 2015, Collana: Dal Mondo,
ISBN: 9788866320326
Per uno scherzo del destino, mentre finalmente mi decidevo a leggere L’amica geniale, dopo anni di consigli rimasti inascoltati, la querelle su Elena Ferrante aveva ripreso vita sui media italiani e internazionali. Su questa misteriosa figura di autrice si è fatto un gran parlare, soprattutto in seguito al successo internazionale dei suoi libri. A ottobre, dopo anni di speculazioni e una vicenda su cui è meglio calare un pietoso silenzio, l’identità di Elena Ferrante è stata svelata.
La verità, però, è che, mentre leggevo il libro, di chi fosse o cosa facesse Elena Ferrante non mi importava assolutamente nulla. Leggere L’amica geniale ha spazzato via ogni preconcetto che mi ero creata assistendo alle polemiche intorno all’autrice e ai suoi scritti. Prestanome per un famoso scrittore o sconosciuta esordiente; figlia d’arte o meno; abile speculatrice della passione che gli stranieri nutrono per tutto ciò che è folklore italiano dell’immaginario anglosassone? Poco importa. La quadrilogia costruita attorno a Lenuccia e Lila (le due protagoniste) è straordinaria, e per quel che vale il mio giudizio, da professionista e da lettrice, credo sopravvivrà alla prova del tempo. Mi ha ricordato che il vero ago della bilancia, nel giudicare un libro, è il testo stesso (e credo di non essere l’unica a dimenticarlo, a volte).
Con uno stile difficile da descrivere, se non “per accumulo” – di parole, di situazioni, di personaggi – la Ferrante dipinge, pennellata dopo pennellata, un quadro spietato della situazione italiana post conflitto mondiale. Un procedimento che ha finito per affascinare anche me, sfacciata anglofila e convinta sostenitrice del principio “meno è meglio”. Anche se in generale tendo a preferire stili asciutti e prose scarnificate, mi riesce difficile non ammirare il rigore che la Ferrante applica all’apparente caotica sovrabbondanza.
Ci sono due ragazze, intelligenti ma di estrazione poverissima. Ci sono la miseria dei quartieri periferici di Napoli, l’ombra della criminalità organizzata e il sangue per le strade. E poi, ancora, la borghesia intellettuale, il boom economico, le lotte sindacali, i fermenti culturali sessantottini. E il tutto è descritto con una lucida spietatezza che di folkloristico non ha proprio nulla. Difficile immaginare quale incanto possa evocare un passo come questo:
Tutta la famiglia Melchiorre era morta abbracciata, urlando di paura, sotto un bombardamento. La vecchia signorina Clorinda era morta respirando il gas invece dell’aria. Giannino, che stava in quarta quando noi eravamo in prima, un giorno era morto perché aveva trovato una bomba e l’aveva toccata. Luigina, con cui avevamo giocato in cortile o forse no, era solo un nome, l’aveva uccisa il tifo petecchiale. Il nostro mondo era così, pieno di parole che ammazzavano: il crup, il tetano, il tifo petecchiale, il gas, la guerra, il tornio, le macerie, il lavoro, il bombardamento, la bomba, la tubercolosi, la suppurazione.
Ma la grande forza del romanzo, e dell’intero ciclo, sta nelle sue figure femminili. Lontano da ogni retorica di genere e, al suo opposto, da idealizzazioni e romanticherie, le donne (e le ragazze, e le bambine) di L’amica geniale sono descritte e costruite con la stessa fredda osservazione riservata alla situazione sociale. Sono donne fatte di carne, sangue – moltissimo sangue – per cui nessun tabù è osservato. Si parla di sesso, della paura del sesso e di un certo vergognoso sapere, di mestruazioni e parti, ma soprattutto si parla del rapporto fra le donne. Per quanto ci piaccia pensare che le cose siano cambiate, soprattutto in questi rapporti, fatti di invidia mescolata ad affetto, di repressione e violenza, ci possiamo rispecchiare e (scusate il gioco di parole) continuare a riflettere.
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