La prima verità, Simona Vinci
Einaudi, Collana: Stile Libero Big, marzo 2016, ISBN: 9788806212681
Quello che cercavo, per me e per gli altri, per il mondo dei vivi e per quello dei morti, era una patente di normalità, e la mia psicoanalista non mi ha mai illusa, neanche per un secondo, che l’avrei conseguita.
«La normalità non è da nessuna parte, mi diceva, e poi cosa vuol dire “essere normali”? Non c’è una risposta, perché è la domanda a essere sbagliata.»
Per recensire il libro di Simona Vinci potrebbe forse bastare questa citazione.
Potrebbe non servire dire che ha vinto il Campiello 2016; potrebbe non servire sottolineare la genuinità di una scrittura semplice e diretta da cui non riesci a staccarti, la forza delle immagini che l’autrice riesce a creare.
Basta infatti la citazione per farci capire come l’argomento del libro tocchi ognuno di noi. Nessuno è normale perché la normalità non esiste.
Chi di noi (sottolineando questo noi) non ha mai avuto attacchi d’ansia incontrollati, paure inesistenti che prendono il sopravvento, momenti di chiusura verso il genere umano, depressione, infelicità, problemi col cibo…? Potrei continuare, ma se qualcuno riconosce di non essere poi sempre “normale” forse è semplicemente freddo e non si lascia scalfire da niente. Sicuramente anche quest’ultimo sarà un disturbo.
C’è stato un tempo non molto lontano da noi in cui i disturbi mentali, dai più gravi a quelli che al giorno d’oggi trattiamo andando dallo psicologo o facendo finta di niente, venivano “curati” con la reclusione nei manicomi. E questi manicomi, a volte, erano dei veri e propri lager.
La narrazione si instaura nel solco dello scandalo di inizio anni ’90 del manicomio-lager dell’isola di Leros: il regime dittatoriale dei colonnelli vi deportò negli anni ’50 i dissidenti politici e i malati mentali, lasciandoli vivere a stretto contatto e in condizioni disumane.
Nel 1992, la protagonista, Angela, si reca come volontaria per assistere chi di queste persone ancora rimane nel manicomio. Nonostante gli anni passati in condizioni disumane, trattati come relitti, i rinchiusi sono ancora persone le cui vite sono state spezzate, spesso dalle proprie famiglie, per l’incapacità e l’ignoranza con le quali chi si considera “normale” tratta le persone più deboli mentalmente.
Nel romanzo prendono piede varie narrazioni: la storia di Angela e di Lina, quella di un poeta dissidente, quella di Basil, di Teresa, di un bambino dagli occhi azzurri e della stessa narratrice; la storia dell’isola di Leros e di Budrio, un piccolo paese in provincia di Bologna.
Ogni storia ha un segreto da svelare e una verità da scoprire.
Non voglio recensire più di così: è un libro da leggere, sicuramente non è un romanzo che concilia il sonno, ma credo che lasci il segno. Un argomento forte e poco trattato, un argomento profondo e crudele; un libro che lascia milioni di sensazioni da districare e la consapevolezza che il proprio non sentirsi normale è ciò che ci accomuna.
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