IT, di Stephen King
Sperling & Kupfer, Edizione attuale: giugno 2017, Traduzione di Tullio Dobner, ISBN: 978-8820062903
Terza e ultima tappa della mia lunga estate horror. Mentre scrivo, le prime piogge torrenziali abbassano le temperature roventi che abbiamo sopportato negli ultimi mesi e, per inquietante coincidenza, fanno da quasi da specchio alle prime, terrificanti pagine di un classico del genere. Una strada allagata, una barchetta di carta che scivola allegra sull’acqua, e un bambino in impermeabile giallo che la rincorre sotto la pioggia: una scenetta familiare e inoffensiva, ma che molti amanti del genere hanno impresso a fuoco nella memoria.
Non so voi, ma io ancora oggi guardo i tombini con una certa apprensione.
Non ho la pretesa di dire che la mia esperienza e le mie sensazioni siano universali, ma sulla potenza di It e del suo immaginario, se devo credere alle testimonianze di altri, sono sicura non ci siano dubbi. L’abilità di King, capace di andare a pescare nelle torbide profondità dell’inconscio ed estrarne vive e pulsanti le nostre peggiori paure, ancora impregnate di tutta la loro logica infantile e irrazionale, ha in questo romanzo qualcosa di soprannaturale. Chiariamoci, non è soprannominato “il Re del brivido” per nulla, ma non è un mistero che la sua produzione sia discontinua in qualità. Credo per via della mera quantità di scritti che pubblica, sarebbe davvero inumano mantenere certi livelli.
Comunque sia, It è il suo capolavoro indiscusso, per il terrore puro che scaturisce da ogni sua pagina, certo, ma soprattutto per il realismo inaspettato che anima la rappresentazione dell’infanzia. La sincerità della voce di King, qui, scevra da ogni idealizzazione del passato perduto, dà vita a quelle che forse sono le sue pagine migliori in assoluto, quelle sulla provincia del Maine negli anni ’50, quale deve averla conosciuta lui da bambino. Ci è tornato su, più avanti, con 22/11/63, che pur essendo un buon libro, finisce per essere solo una pallida copia su questo versante.
Ma tornando a It, dicevo dell’assenza di idealizzazione del passato: questo, per ovvia scelta autoriale, è vero solo in parte. Il romanzo si dipana su due diverse linee temporali, che si muovono sempre in parallelo: una negli anni ’50, in cui i protagonisti sono bambini, la seconda negli anni ’80, in cui sono già adulti, alle soglie della mezza età, e guardano con inconfondibile nostalgia verso la prima. Rileggendolo questa estate, come spesso capita, mi sono accorta di una dimensione che non avevo colto prima. A questo giro, sono molto più vicina a quest’ultima linea temporale che alla prima (i miei 32 anni contro i loro 38) e in un primo tempo, sono rimasta un po’ delusa. Scritto magistralmente, coinvolgente, con personaggi dallo spessore indimenticabile: però. Però ritornavo due, tre volte sulle scene che mi avevano terrorizzato la prima volta, senza provare molto più che un filo di disagio.
È stato un po’ come rivedere certi vecchi film, e accorgersi della cerniera sulla schiena del mostro della laguna. Poi, a un certo punto, un secondo tipo di paura mi ha avvolto, magari meno potente, ma in un certo senso molto più disturbante: la paura del decadimento, la paura non della morte (quella improvvisa, violenta, con gli schizzi di sangue) ma della propria mortalità.
Perché It è anche la storia della perdita della nostra innocenza, non meno spaventosa e catartica di quella dei mostri sotto il letto.
Nota dell’autrice:
Non fate vedere ai vostri bambini il trailer del nuovo film (e non date retta a quei burloni di Amazon, non fategli vedere nemmeno quello vecchio)! Non vogliamo una nuova generazione traumatizzata.
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