La seconda generazione. Quello che non ho detto a mio padre, Michel Kichka
Rizzoli Lizard, 2014, titolo originale: Deuxième génération: ce que je n’ai pas dit à mon père (Éditions Dargaud, 2012), traduzione di Giovanni Zucca, ISBN: 9788817071970
Per Michel Kichka, illustratore e vignettista, questo è il primo romanzo grafico, ma non si tratta semplicemente di una nuova sperimentazione o di un cimento artistico, bensì del traguardo di un percorso catartico, liberatorio e necessario per capire la propria vita e proseguirla finalmente sollevato da un grosso peso che lo gravava sin dall’infanzia. Alla domanda se fosse un libro necessario, risponde:
Non necessario, vitale! Da quando l’ho finito sento di respirare in modo diverso.
Un racconto autobiografico a ritroso nel tempo sulla presa di coscienza e l’elaborazione delle vicende della propria vita, scaturite dal fatto di appartenere a quella che nel mondo ebraico è un’espressione connotata molto precisamente: la seconda generazione, dove la prima è quella che ha vissuto la shoah.
Nell’infanzia di Michel è fondamentale l’influenza del passato oscuro del padre Henri che, di tutta la famiglia Kichka, di origine ebrea polacca emigrata in Belgio, è stato l’unico ad essere restituito al mondo dal buco nero dei campi di concentramento.
Il padre non parlava mai di ciò che gli era accaduto, lasciando però trapelare quanto bastava perché il piccolo Michel potesse capire che il suo amatissimo papà era un sopravvissuto.
Quel pesante non detto da parte del padre provoca una catena conseguente di non detti del figlio, per il pudore di non aprire ferite spaventose, per una amorevole cura filiale di non procurargli nemmeno il più piccolo dispiacere, ma che alla lunga ha creato un peso insostenibile.
Quando Michel arriva alla fine del suo percorso personale, sente che gli manca ancora un tassello: rendere partecipe il padre, con gli arretrati! È allora che nasce l’idea di un libro (vedi il sottotitolo: quello che non ho detto a mio padre). Ma Michel non è propriamente uno scrittore e sceglie allora il modo che gli è più congeniale, il disegno, con cui in 108 pagine riesce a sintetizzare una vita intera.
Kichka si trova a raccontare il malessere esistenziale che proviene da due vere e proprie tragedie, l’una legata all’altra, la shoah del padre e il suicidio del fratello Charly: un fatto grave, repentino e violento che sopravviene a buttare all’aria le carte che sembravano essere in ordine. Per il padre, il trauma della perdita del figlio in modo brutale apre la diga che tratteneva le sue parole, che ora scrosciano inarrestabili, “in un tempismo da schifo” proprio durante la shiva (sette giorni di lutto) dedicata a Charly. È l’inizio della ricostruzione, il passaggio dal non-detto alla parola (“Mio padre era un uomo distrutto. Quella sera ha iniziato a ricostruirsi, tramite la sua testimonianza”). Per Michel invece si delinea per la prima volta in modo chiaro cosa significhi essere un figlio della seconda generazione e quali possano esserne le conseguenze estreme.
Avevo già sentito parlare della sindrome della seconda generazione. E io? Ero al riparo da quella malattia?
La bravura di Kichka sta nel raccontare fatti tanto tragici senza retorica, scegliendo di accostare a scene intrinsecamente pesanti, altre più leggere e spesso divertenti senza per questo togliere la gravità e il peso di quei fatti, cambiando frequentemente scena e toni, mescolando i contrasti.
Laddove i suoi lavori di illustratore e caricaturista sono caratterizzati da un felice tratto colorato e umoristico, qui mantiene l’umorismo di fondo, ma abbandona il colore per il bianco e nero, che è quello delle vecchie foto riportate nei libri del padre sulla guerra e la shoah, sfogliati di nascosto da Michel bambino. Ne riproduce alcune tra le più note, personalizzate:
Lo cercavo tra questi visi scavati. Ma com’era allora? […]
Avevo paura di non riconoscerlo.
Avevo paura di riconoscerlo.
Quando le proprie origini vengono spazzate via, una fotografia miracolosamente superstite che ritrae i volti di nonni e zii perduti, assume un significato enorme:
Con un binomio di ironia e delicatezza Kichka ricorda com’era la vita in famiglia, tutto sommato felice se non per le ombre di quel passato taciuto. Vi si trovano vignette intime e personali, esposte con così grande garbo e affetto e nello stesso tempo con una naturalezza quasi spudorata, che il lettore si sente un invitato in casa, accolto a braccia e porte aperte.
Il cuore della casa dei Kichka era la cucina (e non poteva essere altrimenti, dopo i digiuni patiti ai campi!) che fungeva da luogo dedicato alle più svariate necessità domestiche e che Michel usa come sfondo in cui far rivivere simpatiche scenette.
Kichka ha affermato che il caricaturista e satiro politico è nella posizione inevitabile di dover esporre la propria bandiera. Ma in questo libro si è spinto oltre, mettendosi completamente a nudo, in tutti i sensi. Vari momenti di intimità familiare e personale, sia psicologica che fisica, si trovano nei disegni che lo ritraggono nudo. La nudità crea un contatto emotivo ed empatico col lettore. Si crea un’atmosfera di naturalezza in cui il lettore finisce per sentirsi amico di questo personaggio reale che si racconta fino in fondo, trovandosi irresistibilmente a fare il tifo per lui.
Tanti sono i rimandi e le implicazioni del libro che ne fanno una storia intensa e curiosa, per la capacità di concentrare e condensare fatti e emozioni, con riferimenti e cenni a tematiche “collaterali”, spesso solo sfiorate ma significative. Uno scorcio su tradizioni familiari e credo diversi, uno spaccato sulla vita di una famiglia ebrea laica, sulle sue avventure e disavventure. Sulle età della vita, aspettative, traguardi e difficoltà. Sullo scambio storico-generazionale. Traspaiono dalle strisce riferimenti e prese di posizione su questioni scottanti del passato e dell’attualità, il tutto con discrezione, senza deragliare o perdere il filo della narrazione.
Non mancano infine le citazioni a mo’ di riconoscimento, al lavoro di Primo Levi e soprattutto di Art Spiegelman con Maus, cui in qualche modo Kichka si è ispirato, e varie citazioni visive come questa trasposizione del Piccolo principe:
Un libro commovente, divertente, drammatico, affettuoso, ironico, coinvolgente.
Una storia vera. Raccontata per necessità. Con amore.
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