Incontrare Cristina è come farsi investire da una folata di vento fresco e da una sensazione di conoscenza naturale, come quella provata nel rivedere un’amica lontana con cui sai ricreare subito un’intimità spontanea e sincera.
Scegliamo di incontrarci per la nostra intervista un venerdì pomeriggio, sotto alle due Torri e quando iniziamo a camminare per le strade del ghetto di Bologna ci scopriamo indecise su dove dirigerci. Entrambe vorremmo un posto tranquillo in quella zona universitaria e un po’ selvatica di Bologna tra Mascarella e Belle Arti, che entrambe amiamo ma che proprio tranquilla non è.
Ci intrufoliamo in un baretto con un piccolo spazio all’aperto in un’ansa nascosta tra i palazzi non lontana da piazza Verdi e ordiniamo in un tavolino in disparte due improbabili bevande analcoliche.
Quasi mi dispiace dare alla nostra conversazione l’aria formale di un’intervista, ma ben presto capirò che non corriamo nessun pericolo di questo genere.
Ci sediamo una di fronte all’altra e iniziamo la nostra chiacchierata sul suo ultimo libro, Non so chi sei, una graphic novel che si legge d’un fiato, sincera e coraggiosa, sul mondo della seduzione in punta di app.
Leggendo Non so chi sei mi sono chiesta subito in quale modo arrivasse a te, che sei disegnatrice e scrittrice, l’ispirazione: direttamente tramite le immagini oppure prima attraverso le parole?
In un certo senso l’ispirazione arriva in parallelo, le parole a fianco delle immagini, affiancando i dialoghi alle tavole disegnate quasi come fosse un unico linguaggio. Per scrivere questa graphic novel, in particolare, non ho steso tanti storyboard ma ho lavorato d’istinto, ritagliandomi piccoli momenti e poi, in attimi di maggiore tranquillità, ripassando e limando le tavole. Diverso è il processo creativo del mio prossimo progetto, in cui arrivano alla mente per primi i disegni, ma si tratta di un albo illustrato rivolto a bambini piccoli, quindi è naturale.
Per Non so chi sei devo dire che mi ha aiutato molto anche il mio editore, visto che si tratta di una storia particolare, in cui parte dei fatti si svolge a cerniera, a differenza del mio libro precedente Quasi signorina in cui i fatti seguivano un ordine cronologico.
Sempre in tema di costruzione della storia e dei personaggi, in Non so chi sei ci sono alcune tavole in bianco e nero che sono particolarmente intime, io le ho interpretate come le fratture nella vita della protagonista che la spingono oltre, in un momento ulteriore e diverso.
In effetti è così, e lo è stato per entrambi i personaggi coinvolti; nelle tavole in bianco e nero si percepiscono infatti le esigenze della protagonista e della sua compagna da cui poi è arrivata la rottura inevitabile del rapporto, e quindi, con essa, la decisione di utilizzare Tinder. L’uso dell’app è infatti ispirato da un’esigenza forte, dalla consapevolezza cioè di fare questa esperienza per risolvere un problema e superare un’impasse.
La tua graphic novel è sincera, diretta, con tanti volti e personaggi. Proteggere l’identità delle persone coinvolte in una storia è una delle più grandi sfide dello scrittore: tu cosa ne pensi?
Quando si descrive un personaggio si trae ispirazione dalla realtà ma poi si inventa, i personaggi non sono quindi del tutto corrispondenti alla realtà, vengono inseriti elementi di fiction. In questo modo puoi raccontare tutto, perché questo modo di descrivere solo qualcosa di una persona, il fulcro e il suo “colore”, la protegge.
Tu descrivi molto bene la solitudine nei dialoghi della tua graphic novel: è la solitudine o è anche altro, una sorta di sfida con se stessi, la molla che spinge a conoscere persone in questo modo, senza essersi mai guardati negli occhi?
Beh, poi però si guardano negli occhi, no? (Cristina sorride). Sì, la spinta è anche una sfida, un modo per risolvere un problema ma in modo consapevole. La consapevolezza è un aspetto importante perché alcune persone non mettono a fuoco né il problema che stanno vivendo né un possibile metodo di soluzione e così girano a vuoto senza sapere cosa fare.
Tu hai vissuto in città diverse e in città diverse hai ambientato le tavole. Viene da pensare che una città svolga un ruolo determinante nello svolgimento dei match, degli incontri su Tinder.
Sì, l’uso di Tinder cambia totalmente a seconda della città in cui è utilizzata… cambia lo scenario e le modalità d’uso.
D’altronde ogni città – almeno ai miei occhi e nella mia esperienza – ha una fisionomia ben precisa: Milano è un’elegante signora in tubino nero ma non algida come appare, Bologna un eterno ragazzino… e Napoli?
Napoli? È voluttuosa e a spirali, e tutti la vogliono raffigurata al femminile, come se fossa una donna…
Nel libro ci sono comunque anche riferimenti a città nascoste. Per esempio quando la protagonista incontra il tipo con la Mercedes, beh, nascosta in quelle scene c’è Roma! Ho volutamente lasciato un salto nella narrazione. I luoghi influenzano, peraltro, anche il colore utilizzato per caratterizzare i diversi personaggi maschili…
Diciamo che usare questa app di incontri in molti posti diversi (e anche in paesi diversi!) ti fa capire che siamo tutti sotto lo stesso cielo e il “gioco” rappresentato da questo genere di app è proprio quello di intercettare mondi diversi dal proprio e farti incontrare persone, dal metalmeccanico all’avvocato, che non incontreresti altrimenti.
La protagonista è sincera, coraggiosa e malinconica: un personaggio vivido, con cui ci si può riconoscere, anche nei gesti goffi, nelle paure, nei dubbi. E poi ci sono loro, gli uomini, tanti personaggi con cui puoi descrivere il punto di vista maschile, il modo in cui vivono gli incontri e l’approccio al sesso così diretto della protagonista.
I personaggi maschili descritti nel libro, a volte, ci fanno capire che in questa società, che sta cambiando molto rispetto al passato, proprio gli uomini si aggrappano a dogmi che sono in crisi… ed è proprio per questo, per me, che a volte vi si aggrappano con tanta forza!
Ma anche le donne sbagliano, pressano, non danno i giusti spazi agli uomini e a volte li sopravvalutano. Come è accaduto a un’amica al secondo appuntamento su Tinder, che si è messa a chiedere spiegazioni con insistenza per il silenzio tenuto da un ragazzo dopo il primo appuntamento, non dando all’altro il tempo di capire e abituarsi alla nuova situazione. In questo caso si sbaglia, secondo me, perché gli uomini non sono esseri mitologici ma umani e se si fa così, scappano. Io, d’altronde, avrei reagito nello stesso modo.
Anche se sempre con leggerezza e ironia, nei dialoghi di Non so chi sei emerge la diversità del modo in cui donne e uomini vivono il momento che segue l’intimità, una notte trascorsa insieme.
Tinder secondo te cambia sotto questo aspetto chi lo vive?
Dipende da persona a persona, ci deve essere una base di sensibilità, non ho intravisto un miglioramento generale, dipende davvero dalla singola persona, da quanto usi Tinder e per quanto tempo lo usi.
Ci sono anche casi di ruoli invertiti! Per esempio una mia amica di Bari, una donna intelligente e sveglia che lo sta usando, mi ha raccontato che si sta divertendo da morire, in particolare perché Tinder aiuta a sfatare miti, a fare scendere certi tipi di uomini dal proprio piedistallo.
Come si sono comportati gli editori di fronte a un libro così libero e diretto? Lo hai dovuto inviare a tante case editrici diverse?
No, in realtà è l’editore con cui poi ho pubblicato ad avermi chiamato. Il libro è nato da Patreon (una piattaforma in cui a fronte di un piccolo contributo mensile, è possibile sostenere il lavoro di vari artisti tra cui disegnatori, n.d.a.) e per la precisione da 30 tavole che poi la mia agente, che vende i miei fumetti qui in Italia e all’estero, ha proposto a varie case editrici. Tanti gli editori interessati ma solo uno ha alzato il telefono: Pasquale La Forgia, l’editor di Lizard Rizzoli con cui poi ho fatto il libro.
La fine della tua graphic novel è aperta, o così mi è parsa. Ha un titolo che rimanda a uno stacco, a un rifiuto ma poi sembra che questa sensazione sparisca, lasciando spazio ad altro, e forse anche a una nuova fase, anche a nuovi incontri.
Eh, sì (ride) è proprio un finale aperto aperto. È così anche l’approccio con queste app, le si disinstalla e poi dopo un anno si vuole ridare un’occhiatina; è un rapporto ad andamento circolare, la protagonista quindi conoscerà altre persone ancora. Accenno a questa eventualità ma non l’approfondisco…
Hai scelto Bologna per rimanere, mi fa piacere che una persona creativa come te viva qui. Pensi che Bologna possa essere protagonista di un progetto futuro?
Lo spero, e spero anche che me lo facciano fare ma non voglio ripetermi, rimanere confinata negli stessi scenari e argomenti.
Dopo il tuo primo libro che narra la tua infanzia fino all’ingresso nell’adolescenza e questo nuovo libro sull’età adulta sembra mancare la descrizione di un momento importante della tua vita, i vent’anni che a volte segnano un momento di rinascita e forti cambiamenti. Hai intenzione di colmare questo vuoto?
No, non voglio essere monodimensionale, ripetitiva; guarda non vorrei nemmeno essere legata a una sola casa editrice, c’è chi mi rinfaccia questa mutevolezza, ma perché?
Non c’è nulla di male secondo me a cambiare, anche perché tu hai iniziato con un punto di riferimento nel settore dell’editoria per l’infanzia (Quasi signorina è stato pubblicato da Topipittori, n. d. a.).
Già, e pensa che avevo in mente, scrivendo il libro, proprio quella specifica collana di Topipittori, sentivo di non poterlo fare con nessun altro!
A maggio mi attende il Canada: andrò a visitare il maggiore festival di fumetti al mondo, il Toronto Comic Arts Festival, con l’editore One percent che ha pubblicato Quasi signorina con il titolo Nearly miss, mentre Non so chi sei presto uscirà in Spagna e continuerà lì il suo viaggio.