L’amico perduto, Hella S. Haasse
Iperborea, 16 novembre 2017, tradotto da F. Ferrari, ISBN: 978-8870914887
Ho lasciato L’amico perduto sulla mia scrivania per settimane, non mi decidevo ad aprirlo. La quarta di copertina riportava una storia di formazione, un’amicizia che dall’infanzia si dipanava fino all’età adulta. Ecco, lo confesso, queste trame mi appesantiscono sempre: quante sinossi ho letto che tracciavano la storia di un’amicizia? Un’infinità. Inevitabilmente subentrano il dramma, Freud, l’incomprensione. Tutta una serie di concetti gravi come pietre.
Poi una domenica pomeriggio, subito dopo pranzo, mi sono decisa e ho iniziato il romanzo. Ho terminato quella sera stessa. L’amico perduto di Hella Haasse è una pietra miliare della letteratura olandese ed è ambientato nelle piantagioni dell’Indonesia. Tra le sue pagine ho trovato la meravigliosa leggerezza della malinconia e lo sguardo puro di un bambino che si affaccia in luoghi incontaminati, crocevia della storia, laddove il colonialismo incideva i suoi solchi più profondi.
Il protagonista, la voce narrante, e il suo amico Urug consumano le loro giornate tra i laghi dai fondi neri e le piante lussureggianti del Preanger.
Mentre i capitoli scorrono si avverte lo sgretolarsi lieve del passato, il ricordo che si disfa e diventa fantasia.
Mi è subito venuta in mente L’amica geniale, romanzo che ho letto da poco, il cui esito, però, non potrebbe essere più diverso. Al calcolo e all’impianto claustrofobico della Ferrante si contrappongono gli spiragli poetici della scrittrice olandese.
Chi non si è mai guardato indietro vagheggiando un amico perduto, un compagno di giochi che colorava il mondo, che rendeva allettanti i pomeriggi più noiosi?
Hella Haasse ci racconta questa storia di amicizia e allontanamento attraverso una scrittura semplice, costruita sulla densità e sulla sintesi. Sullo sfondo c’è l’impresa coloniale con i suoi lasciti contraddittori. Ci sono libri che ti confinano nel groviglio dei tuoi pensieri, altri invece, come L’amico perduto, spalancano le finestre, fanno entrare l’aria fresca e ti proiettano verso un orizzonte sconosciuto, al confine con altri mondi.