La vera storia di Enaiatollah Akbari, piccolo afgano in fuga
Nel mare ci sono i coccodrilli, Fabio Geda
B.C Dalai, 2010, ISBN: 9788893880107
Nell’anno in cui Fabio Geda è uscito con Anime scalze – probabilmente uno dei romanzi per ragazzi più intensi pubblicati nel 2017 – il degenerare del dibattito politico, che si ostina a confondere i migranti coi terroristi e a giustificare con la crisi economica l’intolleranza dell’italiano medio, rende urgente la rilettura del libro che lo ha consacrato come un autore da tenere d’occhio.
Il bestseller Nel mare ci sono i coccodrilli è la storia vera di Enaiatollah Akbari, un ragazzino afgano che da solo fugge dal Pakistan (dove era giunto con la madre) e arriva – passando per Iran, Turchia e Grecia – in Italia, dove oggi vive e lavora. L’avvio del suo viaggio, che diventerà presto un film, è il necessario elettroshock di cui avremmo tutti bisogno e che non può che tramutarsi in empatia.
Il racconto nasce da una lunga intervista raccolta dallo scrittore torinese ormai dieci anni fa e si apre con un pugno nello stomaco: un bambino che, dopo essersi addormentato pronunciando tre promesse solenni a una madre più avvolgente che mai, l’indomani non se la ritrova a fianco.
Ecco a cosa Enaiatollah dice “prometto”, prima di ritrovarsi solo.
Uno. Non usare droghe.
Due. Non usare armi.
Tre. Non rubare.
Tre piccoli grandi comandamenti che Enaiatollah, alto come una capra, osserverà sempre. Nonostante tutto. E che, già nell’incipit, offrono al lettore il motivo per non staccarsi più dalle pagine. Ma anche per fermarsi e provare a mettercisi dentro, quella situazione: svegliarsi una mattina, allungare il braccio e non trovare più nel letto il sangue del tuo sangue, il cuore del tuo cuore. Tua madre, che se ne va per salvarti.
Il padre di Enaiatollah è stato ucciso e derubato delle sue merci. I pasthun lo avevano obbligato, come avevano fatto con tanti altri hazara come lui, ad andare in Iran e a tornare in camion per prendere e portare dei prodotti da vendere nei loro negozi. Una richiesta che i pasthun, che sono sunniti, facevano solo agli hazara, sciiti, affinché gli iraniani, sciiti anch’essi, si dimostrassero più disponibili con i fratelli di religione.
«Sembra che, sulle montagne – racconta Enaiatollah –, un gruppo di banditi abbiano assalito il suo camion e l’abbiano ucciso. Quando i pasthun hanno saputo che il camion di mio padre era stato assalito e la merce rubata, sono venuti dalla mia famiglia e hanno detto che lui aveva fatto un danno, che la loro merce era andata dispersa e che noi, ora, dovevamo ripagare quella merce».
Con la vita.
Ed è solo l’inizio. Il principio di un’odissea dolorosa e faticosa. E, al contempo, quelle tre regole da rispettare diventano un seme lanciato nella speranza che germogli, l’impronta di tutto quel che verrà dopo e che farà di quell’adolescente l’uomo che sarà domani.
Enaiatollah oggi ha 28 anni, è laureato in Scienze Politiche e vive a Torino, la stessa città di Geda. Ogni tanto si sentono al telefono, anche perché son sette anni che da questo libro si cerca di trarre un film. Dalle ultime notizie, potrebbe diventare una fiction da inserire nel palinsesto Rai: produzione Rodeo Drive, regia di Ivano De Matteo.
Per andare sul piccolo schermo, del resto, non c’è nessuna fretta. Ormai I coccodrilli – come lo chiama Geda – è un libro entrato di default nei programmi scolastici, che vende ancora tanto e che nelle biblioteche è da aspettare anche diversi mesi per averlo in prestito.
L’avventura di Enaiatollah, fra mille traversie su pullman, camion, treni, a piedi e trafficanti di uomini, è narrata in prima persona e, cosa rara, ha un lieto fine. La terra promessa è l’Italia. È qui che il ragazzo può iniziare la sua seconda vita. La nazione descritta da Geda è l’Italia migliore, quella gentile, che sa accogliere uno sconosciuto e che troppo spesso, di questi tempi, fatica ad emergere. Ma che esiste.
«Come si trova un posto per crescere, Enaiat? Come lo si distingue da un altro?
Lo riconosci perché non ti viene voglia di andare via. Certo, non perché sia perfetto. Non esistono posti perfetti. Ma esitono posti dove, per lo meno, nessuno cerca di farti del male».
E l’Italia per Enaiatollah è stato, ed è ancora, quel posto.
Un posto dove ha scelto di restare, studiare, imparare la lingua e, ora, lavorare.
Ed è proprio la lingua, quella del suo cuore – riflette Geda – che piano piano abbandonerà.
Nella sua nuova vita, Enaiatollah parla, racconta, impara, acquista un’auto e ride in una lingua che non è quella imparata dalla madre. E, quasi sicuramente, si innamorerà e amerà in una lingua che non è la sua. Per quella, forse, sembra auspicare l’autore, restano i sogni.
Questa riflessione sulle lingue madri, seppur fatta en passant nell’ultimo capitolo con lo stile garbato che attraversa tutto il romanzo, forse potrebbe bastare per provare a mettersi (come dicono gli inglesi) nelle scarpe di chi arriva dal mare o, via terra, dall’altra parte della frontiera.
A chi avesse ancora qualche dubbio, ecco l’aneddoto grazie al quale (o meglio, a causa del quale) Enaiatollah ottiene il permesso di soggiorno come rifugiato politico.
«In Afghanistan non c’è una situazione così pericolosa, saresti potuto benissimo restare a casa tua», gli fanno notare dalla commissione giudicante lo status.
Enaiatollah mostra allora un articolo di giornale.
Afghanistan, bimbo-talebano sgozza una spia.
Al grido di Allah Akbar.
«Sarei potuto essere io, quel ragazzino», si limita a dire.
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Dep 03
12 Gennaio 2018 17:33
ma perche quindi si chiama nel mare ci so i coccodrilli