Happy Hour, Mary Miller
Edizioni Black Coffee, 2017, ISBN: 978-8894833027
Happy Hour di Mary Miller è il terzo libro pubblicato da Black Coffee, e, come gli altri, ha una bella copertina illustrata che parla. Dice che quelle raccolte in Happy Hour sono storie di donne, e che donne: un po’ dive, un po’ maledette, molto annoiate, disilluse, pienamente responsabili dello sfascio delle loro vite, lasciate andare a rotoli senza neanche provare a fare qualcosa per recuperarle. Ed è così.
Le protagoniste di Happy Hour vivono nel profondo Sud degli Stati Uniti, lontano dai grandi centri dell’élite finanziaria e culturale americana, in quell’America rimasta un po’ indietro, più povera, e in cui per inseguire il Sogno Americano bisogna vedersela con la polvere delle praterie. Conducono vite trasandate, spesso e volentieri legate a uomini che sono peggio di loro: immaturi, irresponsabili, irrecuperabili. Mary Miller non fa mistero che nei tanti uomini sbagliati di queste donne ci siano gli uomini che ha incontrato nella sua vita: il libro si apre con la dedica Ai miei ex e si conclude con un ringraziamento sempre ai suoi ex, per averle fornito tanto materiale narrativo. (Ne approfitto per ringraziarli pure io. Grazie, ragazzi).
Tuttavia non ho avuto l’impressione che in queste storie ci fosse troppo di autobiografico, né credo sia alla fine così interessante saperlo. Piuttosto ogni racconto è un mattoncino che compone un progetto editoriale molto coerente: le donne di cui racconta Mary Miller sono tutte più o meno giovani, più o meno della stessa età, hanno tutte un problema con la vita, spesso il loro problema con la vita è aggravato da un uomo che complica le cose e, invece di provare a smuovere qualcosa, si lasciano scorrere tutto addosso con una certa indolenza. Eppure ogni storia è una storia a sé: non c’è continuità tra i racconti, né rischiano di cadere nella ripetitività. Se proprio devo trovare una pecca, l’intreccio di alcune storie mi è sembrato un po’ di maniera, soprattutto in alcuni finali a effetto – tutti comunque molto ben architettati.
Il titolo del libro (che nell’edizione originale è Always Happy Hour, a marcare la perseveranza) racchiude in sé l’atteggiamento di queste donne, che è: qualunque cosa accada nella vita, meglio non pensarci e farsi un drink. Un atteggiamento peraltro molto comune nei giovani e non più tanto giovani di questi anni ’10, non solo americani: la tendenza al distacco anche dai problemi della propria vita, a osservare la propria rovina con uno spritz in mano.
Le storie di Happy Hour non sono mai grandi storie: sono una collezione di racconti di vita quotidiana, in cui si indugia sui piccoli gesti, sui dettagli banali, senza mai eccedere o annoiare (perché è lì la chiave delle vite narrate da Mary Miller), e non sfigurano accanto a quelle dei grandi maestri del genere, da Carver in poi.
Concludo con un plauso a Black Coffee, che ci porta in Italia un po’ di letteratura nordamericana contemporanea, giovani scrittori e scrittrici, scommettendo anche su autori esordienti e opere inedite. Nata come collana di letteratura americana di Edizioni Clichy, ha poi iniziato a camminare sulle sue gambe e da quest’anno è diventata una casa editrice indipendente. È una realtà giovane, con le idee chiare, che si fa notare per la cura nella scelta dei titoli e nella veste grafica delle pubblicazioni, perciò in bocca al lupo.
Puoi acquistare Happy Hour qui.